Sostenibilità: facciamo chiarezza

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Articolo di Giulia Maria Picchi pubblicato su TeamSystem

Ne parla anche Draghi. “Questo governo conferma l’impegno a inserire lo sviluppo sostenibile in Costituzione”. Lo ha detto al Senato il nostro presidente del Consiglio nel suo discorso programmatico lo scorso febbraio. E chi lo ha già letto sa bene quanto il PNRR -Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Next Generation Italia) sia un’altra chiara testimonianza di quanti sforzi il governo stia profondendo per andare in questa direzione.

Sostenibilità è una parola che rimbalza sulle bocche di tutti da diverso tempo ormai ma quando si entra nel vivo della conversazione ci si rende agilmente conto che la stragrande maggioranza di chi ne parla non ha affatto compreso di che cosa si tratti esattamente.

Mi sembra opportuno quindi riproporne una sintesi per fornire una cornice quanto più possibile chiara del tema anche perché, forse a causa del gran numero di acronimi con cui ci si riferisce ad argomenti ad essa correlati, la confusione regna sovrana.

Prima di cominciare dichiaro con sincerità i miei obiettivi:

  • far comprendere che quando si parla di sostenibilità non ci si riferisce solo a tematiche ambientali
  • sottolineare quanto la questione abbia un taglio assolutamente economico, oltre che etico, e che, non a caso, il primo a prendere una decisa posizione in merito sia stato il mondo della finanza.

Cominciamo quindi dalla definizione di sviluppo sostenibile, datata 1987 e presentata, per la prima volta, nel c.d rapporto Brundtland (Our Common Future), un documento pubblicato dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED) nel quale si legge: «Lo sviluppo sostenibile [sustainable development] è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri».

E ancora “Lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”.

Al centro dell’attenzione, quindi, c’è un modello di “sviluppo” che garantisca continuità all’umanità, nel rispetto di un patto intergenerazionale che consenta alle generazioni future di poter soddisfare i propri bisogni come quelle attuali stanno soddisfacendo i propri.

Come riuscirci? Quali caratteristiche dovrebbe avere un tale modello di sviluppo?

La discussione tra gli economisti è arrivata a convergere sull’idea che un modello di sviluppo sostenibile debba garantire:

  • la capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento della popolazione (componente economica)
  • la capacità di garantire un’equa distribuzione delle condizioni di benessere umano quali la sicurezza, la salute, l’istruzione, la democrazia, la partecipazione e la giustizia (componente sociale)
  • la capacità di mantenere la qualità e la riproducibilità delle risorse naturali (componente ambientale).

In sintesi, da un punto di vista squisitamente economico, un modello di sviluppo sostenibile non contempla affatto -come crede qualcuno- l’idea di rinunciare alla realizzazione di un profitto quanto piuttosto sposta l’accento sulle modalità con cui tale profitto viene realizzato evidenziandone, oltre alla componente economica, altre due: quella Sociale e quella Ambientale.

Ecco da dove nasce l’acronimo ESG – Environment, Social, Governance.

Ed ecco perché è sbagliato pensare che quando si parla di Sostenibilità ci si riferisca unicamente a questioni ambientali.

Andiamo più a fondo: che cosa significano in concreto E, S, G? Quali attività, quali “cose” devono essere considerate ESG?

  • E (Environment): tutto ciò che produce un impatto sull’ambiente, quindi per esempio, la produzione di rifiuti e inquinamento, lo sfruttamento delle risorse, le emissioni e l’effetto serra, la deforestazione, i cambiamenti climatici.
  • S (Social): tutti i portatori di interesse dell’impresa. Non più solo gli azionisti ma i c.d. stakeholder e tutto ciò che li riguarda e quindi i dipendenti e il capitale umano in genere ma anche le condizioni di lavoro, i diritti umani, le comunità locali, le condizioni di salute e sicurezza, i conflitti, le varie componenti della catena di fornitura.
  • G (Governance): tutto ciò che riguarda in senso lato la condotta dell’impresa e le diverse dimensioni in cui si esplicita. Strategia/trasparenza fiscale, remunerazione dei manager, donazioni e lobbying (legami con la politica), corruzione, struttura del board e diversity, business ethic, pratiche competitive.

Le tre dimensioni non si escludono né devono essere considerate in modo isolato: gli impatti delle scelte che vengono operate sono spesso trasversali e vanno sempre considerati alla luce di tutte e tre.

In massima sintesi la sostenibilità è quel “processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento delle risorse, il piano degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e le modifiche istituzionali sono tutti in sintonia e valorizzano il potenziale attuale e futuro al fine di far fronte ai bisogni e alle aspirazioni dell’uomo[1]”. E il principio guida della sostenibilità è lo sviluppo sostenibile, che riguarda, in modo interconnesso, l’ambito ambientale, quello sociale e quello economico (ESG).

Adesso facciamo un altro passo avanti.

2005: il Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, segna un importantissimo punto di svolta invitando i più grandi investitori ed esperti della società civile a mettere nero su bianco i criteri con cui si può operare in modo sostenibile sui mercati finanziari.

Lancia i PRI – Principle for Responsible Investments.

Da quel momento, le performance dei portafogli di investimento non possono più essere valutate considerando solamente i tradizionali fattori finanziari ma diviene necessario includere nel processo di valutazione anche le tre dimensioni ESG (Environmental, Social e Governance) della sostenibilità.

È dunque il mondo della finanza a muoversi per primo e le ragioni sono evidenti: per poter orientare l’economia ad adottare un modello di sviluppo sostenibile, è necessario premiare quelle attività che si comportano secondo tale modello. E come? Chiedendo agli investitori istituzionali di erogare i finanziamenti sulla base di valutazioni di convenienza che non prendano in esame solo la dimensione economica ma anche quella sociale e di governance.

Da quel momento le parole sostenibilità e sviluppo sostenibile entrano nelle Agende delle Istituzioni di tutto il mondo al punto che, nel settembre 2015, i governi dei 193 Paesi membri dell’ONU sottoscrivono un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile all’interno della quale vengono delineati 17 Obiettivi, i c.d. Sustainable Development Goals, SDGs.

Ma di questi ne parliamo nel prossimo articolo.


[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Sostenibilità